Nivolumab è un anticorpo umanizzato che blocca selettivamente l’interazione di PD-1 con i suoi ligandi, impedendo che essi agiscano come inibitori dell’attivazione e proliferazione dei linfociti T. In questo studio di fase III, randomizzato e in doppio-cieco, nivolumab (3 mg/kg q 14) è stato confrontato con dacarbazina (1000 mg/m2 q 21) in 418 pazienti affetti da melanoma in III o IV stadio non precedentemente trattati e BRAF wild-type. Endpoint primario OS.
È stata inoltre prevista la stratificazione per il grado di espressione di PD-L1 sulle cellule tumorali che ha permesso per la prima volta di correlare prospetticamente tale parametro con l’outcome dei pazienti.
Nivolumab si è dimostrato nettamente superiore in termini di OS (dati non ancora maturi), PFS e RR rispetto al braccio di controllo.
La dacarbazina è stata scelta come controllo in quanto, al momento della conduzione del trial risultava essere l’unico trattamento disponibile per melanoma metastatico, non essendo stato ancora registrato ipilimumab (eccetto per FDA). Da notare anche che il 38% dei pazienti che hanno interrotto la dacarbazina per progressione di malattia hanno proseguito le cure con ipilimumab (approvato nel frattempo in molti paesi), il che rinforza il risultato positivo in sopravvivenza da parte di nivolumab.
La stratificazione per lo status di PD-L1 ha permesso di escluderne un significato predittivo e non risulta quindi un parametro utile per la selezione dei pazienti che devono essere sottoposti a trattamento con nivolumab.
Il profilo di tossicità per i gradi 3-4 è favorevole a nivolumab (11 vs 17%), al quale sono state attribuite principalmente astenia, prurito, nausea e diarrea.